Sesshin Antenati – Jōhōji

Sabato mattina

Questo ritiro è particolarmente dedicato agli antenati. Commemorare gli antenati è fondamentale per un essere umano, per la società. Commemorare è mostrare, coltivare gratitudine per gli antenati. Gratitudine per tutte le condizioni della vita che abbiamo ricevuto, e adesso tocca a noi di fare il migliore delle condizioni, delle circostanze nelle quali ci troviamo. Gratitudine è una qualità del cuore e che permette di praticare la via del Mahayana. Ogni merito della pratica e dello zazen viene dedicato a tutti gli esseri, si riconosce il fatto dell’interdipendenza. Sedersi e praticare la via del mezzo è completamente al di là di ogni speranza di guadagnare, di ottenere qualcosa dallo zazen. Zazen è la base per tutte le altre pratiche del buddhismo, del Mahayana, e lo zazen insegna particolarmente una via della moderazione, una via libera dal desiderio di ottenere. Perciò commemorare, sviluppare la gratitudine, è di incorporare la compassione per tutti gli esseri: questa compassione è un principio di base del buddhismo Mahayana. Se vogliamo praticare, camminare la stessa via dei Buddha e dei Patriarchi, dobbiamo continuamente considerare ogni aspetto della vita con grande compassione. La compassione fa che possiamo sederci, essere in zazen, con il voto di salvare, di aiutare tutti gli esseri senzienti.

Lo zazen è oltre ogni meditazione, perché è la via del mezzo, la via che va al di là di ogni oggetto, ogni tentativo di afferrare. Quindi se abbiamo un sentimento di attaccamento a una esperienza, a dei punti di vista falsi, [cioè la considerazione di un sé fisso, personale], lo riconosciamo come tale senza farsi delle illusioni su sé stesso.

Questi tre aspetti fanno la differenza tra una meditazione sociale, come si intende nel linguaggio quotidiano, e la meditazione seduta dei Buddha e dei Patriarchi: lo zazen.

L’assenza da questo attaccamento all’esperienza dei punti di vista sbagliati su di un ego, un sé, e di ingannarsi sé stesso con opinioni su sé stesso che non corrispondono alla realtà di come un essere è, è la terra fertile per giustamente sviluppare la compassione per tutti, gratitudine verso tutti, una gratitudine incondizionata.

In verità non conosco nessuno che non ha nulla da dire sui propri genitori o fratelli o altri membri della famiglia allargata, ma questo sorge soltanto da un desiderio per avere un’altra condizione, nasce da un punto di vista sbagliato su sé stesso. Lo zazen è andare al di là, senza negare, senza attaccare.

Senza negare senza attaccarsi è la via del mezzo.

Vediamo tutti i sentimenti, tutte le opinioni, ma la via del mezzo ti porta al di là di ogni attaccamento, di ogni identificazione con i pensieri, con le opinioni.

Seduto nello zazen e continuare a praticare, libero da ogni desiderio di raggiungere lo stato del Buddha, raggiungere la purezza, di realizzare la via. Questo è il modo di praticare la via del mezzo. Quando la mente non ha nulla da desiderare, nulla da sperare, nulla da eliminare, questo è la Via.

È alla base dell’insegnamento di Nyojō, Dogen, Keizan, così via fino ad ora.

Sabato ore 11.30

Lo zazen di Buddha, dei Patriarchi, dei Maestri della trasmissione, è di abbandonare la presa, ma soprattutto di abbandonare l’abbandono. Cioè di attualizzare che non c’è nulla che possiamo abbandonare, proprio perché non c’è nessuno che ha qualcosa da abbandonare.

Nessuno ha un nucleo fisso che può afferrare qualsiasi cosa, quindi, se non c’è nulla che possiamo afferrare perché siamo incapaci di afferrare, non c’è nulla che possiamo abbandonare.

Questo è l’insegnamento di Nyojō a Dogen giovane. Dogen realizzava nello zazen che abbandonare corpo-spirito, e quella realizzazione era tranquilla, a suo agio, una grande facilità di essere, perché non c’è nessuno che si oppone al modo di essere senza un sé.

E il passo successivo era l’insegnamento di Nyojō dicendo: abbandonare l’abbandonare. Essere seduto in zazen, senza alcun pensiero di ottenere, e quindi niente da abbandonare.  

Se ci si siede soltanto per il sedersi stesso, non per ottenere o abbandonare o migliorare o purificare qualcosa, non c’è nessuno scopo egocentrico nell’essere seduto in zazen. Nell’essere seduto nello zazen di Buddha tutti gli esseri sono inclusi, tutti gli esseri ricevono la compassione, la considerazione, senza dualità, senza differenziazioni, senza creare differenza.

Nello zazen, se non c’è nessuno presente vuol dire che possiamo vedere che dall’altra parte non c’è nessun essere che può essere salvato, proprio perché nessun essere esiste in modo permanente, con un nucleo che è in grado di afferrare o essere afferrato.

Pensare che possiamo identificarci con qualcosa, che possiamo afferrare, migliorarci, è un’illusione, perché l’interdipendenza fa che di momento in momento non c’è nulla che appare o scompare, perché non c’è nulla di fisso, soltanto manifestazioni di un insieme di cause e condizioni, che loro stesse dipendono da tutte le altre cause e condizioni. Nulla esiste da sé stesso, da solo.

Il merito dello zazen nel quale non c’è nulla da ottenere è proprio di attualizzare la vacuità di ogni essere, di ogni fenomeno, di ogni dharma.

Non cercate di allontanare le illusioni per diventare risvegliato.

Quando si abbandona questo pensiero di abbandonare, di respingere e ci si siede al di là di ogni pensiero di divisione e di qualcosa di ottenere, allora l’illusione stessa è abbandonata e la saggezza espressa.

Sembra contraddittorio ma questo è il risveglio di Buddha.

Non c’è un sé, perché tutto è una manifestazione della coproduzione condizionata; così come è, nella sua totalità di cause e condizioni.

In quel modo si esiste nella totalità, la totalità così com’è.

Perciò, come tutto è sempre presente, diverso in ogni momento, non c’è nulla che possiamo abbandonare, nessuna purezza da ottenere, nessuna illusione da respingere e di risvegliarsi.

Non possiamo cambiare l’illusione in risveglio, anche se lo pensiamo continuamente, continuamente pensiamo che dobbiamo abbandonare, ma la cosa che dobbiamo abbandonare è proprio l’idea che c’è qualcuno che può abbandonare, che ha la capacità di abbandonare.

Perciò Keizan dice che attraverso la propria esistenza, nel sedersi in zazen, dobbiamo noi stessi trovare questo che non può essere trovato e ottenere questo che non può essere ottenuto.

E fa la raccomandazione di non essere distratto, non essere preso da insegnanti e i loro insegnamenti che puntano su un risveglio che può essere ottenuto. Sono come dei demoni, dice Keizan, che tormentano e sviano il pensiero di qualcuno.

Invece dobbiamo praticare il sedersi in zazen noi stessi, altri non lo possono fare, ognuno ha bisogno di fare, di rispondere in modo corretto a tutte le cause e condizioni, perché il modo corretto influisce le cause e condizioni che seguono. Siamo quindi soltanto seduti per lo scopo di essere seduti, infatti stare nella facilità del non sé che fa che infine non c’è nessuna persona seduta davanti al muro sullo zafu, sullo zafu c’è soltanto il peso di una piuma.

Sabato pomeriggio

Durante lo zazen lasciate tutte le tensioni nel corpo e nella mente, equilibrate la postura e respirate tranquillamente, con calma. Rilassate le spalle, la nuca, il volto, le gambe. In tutti questi posti del corpo non serve avere tensioni durante lo zazen. E mandate nel basso ventre tutta l’energia che si libera dal lasciare la presa dalle tensioni. Non trattenere tensioni, energie nella testa.

E soprattutto, durante lo zazen non c’è da credere nei vostri pensieri.

I pensieri sono ingannevoli. Dal momento che ci si identifica, che ci si attacca, si cade nella trappola, la malattia dello zen.

Si crea frustrazione, opposizione, opinioni, tutto questo che non serve durante lo zazen. Durante lo zazen non dobbiamo ostruire il flusso naturale, normale dei fenomeni. Quindi non facciamo nulla, non interferire, così si rispetta la fluidità della propria esistenza, si lascia sorgere ogni tipo di pensieri, di pensiero. Ma dal momento che ci si fissa su un pensiero, che si inizia a svilupparlo, allora il flusso naturale dei pensieri è bloccato, e si impedisce così di studiare sé stesso.

Dobbiamo fondamentalmente studiare sé stesso, non con il mentale, ma lasciando venire e andare liberamente tutti i pensieri che si presentano. Sapere il tipo di pensieri che si presentano, fa che nella vita quotidiana li possiamo riconosce più facilmente e quindi di non essere condizionati da questi pensieri inconsapevoli, incoscienti, e di farci soffrire.

Lasciando venire e andare senza interferire, ci si libera dal peso di sé stesso.

Pero attenzione: lasciare andare i pensieri non è uguale a respingere. Lasciare la presa non è qualcosa che possiamo fare con il mentale. Si fa con il corpo, con l’aiuto della respirazione. Essendo totalmente consapevole e insieme con il respiro, impedisce che i pensieri si sviluppino e che prendano possesso della mente e che siamo totalmente nella illusione. Illusione di sé stesso.

Studiare sé stesso vuol dire di liberarsi dall’impreso dal suo ego. Dogen dice: dimenticare sé stesso.

Studiare sé stesso è rispondere alla domanda: Che cosa sono, meglio detto: in che modo sono. Chi sono non è così interessante, non aiuta a sviluppare la saggezza che porterà al di là.

C’è da porsi intimamente la domanda: Che cosa sono. Questa è una indicazione per studiare l’interdipendenza, la coproduzione condizionata, come nello stesso momento che i fenomeni si producono quei fenomeni influenzano il sorgere degli stessi fenomeni.

Studiare sé stesso è quindi studiare la vacuità, studiare come, in quel modo siamo seduti sul mondo, come non c’è nulla di personale, niente che possiamo definire come io fisso, specifico. Ma che tutto viene da altre cose: nulla, né nel corpo, né nella mente, mi appartiene. L’ho ricevuto e lo ricevo all’istante, perciò la gratitudine della commemorazione è importante per crescere quindi per lasciare la presa, per influire in modo positivo sulla società, sulle nostre relazioni al lavoro, a casa, nel Sangha.

Studiare questa vacuità di sé stesso è costruire la pace interiore e esteriore. Non ci sono più frontiere.

Domenica mattina

Rilassatevi nella vostra postura, non rendetela tesa. Lasciate cadere le spalle, togliete tensioni nella schiena e nelle gambe, anche nel volto. Ma non addormentatevi. Rimanete vigili, attenti, svegli. Questo si può fare soltanto quando si abbandona ogni idea, desiderio, ambizione, di poter raggiungere qualcosa, di voler avere ragione, discutere litigare, convincere. Nello zazen tutto ciò sparisce, non ha importanza. Ci si siede in equilibrio sullo zafu, si respira tranquillamente, calmo, e non chiudere gli occhi, non chiudiamo fuori il mondo cioè non ci mettiamo in opposizione al mondo.

Praticare zazen, zen, le perfezioni, i precetti, è andare d’accordo con le esigenze della vita, quindi respiri, mangi, bevi.

E ognuno, per il proprio corpo, per i propri bisogni, trova l’oryoki, cioè la misura giusta per poter funzionare bene.

Nello zazen studiamo la vacuità di sé stesso, e siamo profondamente soddisfatti con esser semplicemente seduti, senza fare qualcosa. Infatti si pratica il non-fare, quindi non è: non fare qualcosa, ma è: fare qualcosa nel modo di non-fare. Non è passivo, non è essere morto. Si fa, ma non con la coscienza, con la volontà, con le convinzioni. Sono abbandonati. Abbandonare corpo spirito e essere soddisfatto.

Soddisfatto con quello che c’è, con il corpo che abbiamo.

Ma soddisfatto non vuol dire essere lassista.

Dunque essere soddisfatto non è essere cieco, non è essere senza possibilità, carattere di distinzione. Neanche se nello zazen avete realizzato che profondamente, intimamente non c’è veramente nulla da realizzare, da aggiungere, da raggiungere, nulla da creare, nulla da aspettare, può essere sempre ancora che incontriate qualcuno che vi dice il contrario e che vi mette il dubbio. Per favore, non cadere in questa trappola. Onestamente non c’è nulla, è soltanto il nostro stato naturale, normale. Il Buddha ha visto Venus e ha realizzato che tutto è bene così com’è, che tutto è al suo posto giusto, che l’universo funziona in modo equilibrato, e dal non interferire e rispettare le leggi dell’universo. Le leggi dell’universo non indicano di essere passivi, ma si deve fare nel modo giusto quello che c’è da fare, le cose che l’universo aspetta per funzionare bene, le cose quindi che dobbiamo fare. E questo vale anche per il nostro mentale: creare continuamente discorso di tutti i tipi nella testa impedisce la tranquillità che è caratteristica per il funzionamento normale dell’universo.

Non creare opposizioni, dualità, vuol dire che possiamo essere nella tranquillità del nirvana. Non c’è nessun potere alieno che possiamo sviluppare, possiamo soltanto abbandonare ogni opposizione e metterci nella corrente dell’universo. Per le persone incapaci sembra che possiamo fare tanto, intuire molto, avere una grande saggezza, ma non è null’altro che rispettare le leggi dell’universo, dell’interdipendenza, della vacuità. Interdipendenza vuol dire impermanenza, ma l’impermanenza rispettata indica un’eternità.

Eternità indica un non sé, l’assenza di un’anima, l’assenza di un nucleo che possiamo chiamare io, e che si troverà da qualche parte nel corpo, o da qualche parte nell’universo, e che dobbiamo curarlo, modificarlo, pulirlo. Non c’è nulla da pulire, perché non c’è nulla che può essere sporcato.

Le infezioni e gli inquinamenti per i quali proviamo il fastidio, le frizioni, le opposizioni, vengono soltanto da credere in modo sbagliato, dal prendere la propria ignoranza come saggezza, di credere nei messaggi, messaggeri finti, falsi, ingannevoli.

Vedere bene il funzionamento vuol dire che possiamo scegliere il modo giusto per agire, per vivere, per pensare. La saggezza del Buddha ti porta sull’altra riva, non è null’altro che rispettare il flusso della coproduzione condizionata e non creare barriere.

Quindi tutto va fatto con moderazione, se andiamo in un estremo, se ci si attacca, se ci si identifica in modo unilaterale, dogmatico, ai pensieri, ai precetti, alle perfezioni, all’idea di aver capito, cadiamo nell’inferno dell’ignoranza.

Ogni momento è completamente nuovo, il mondo, tutto l’universo è completamente nuovo, e non pensare: l’universo è nuovo, e io sono fisso. Al contrario: lascia e rispetta la fluidità. Non stiamo fuori dalla vita, non stiamo fuori dall’universo e il suo funzionamento.

La saggezza che ti libera è giustamente di rispettare quelle leggi universali.

Questo è l’insegnamento della Stella del mattino, di Venus, a Buddha, una volta che è stato capace di capirlo, di sentirlo, cioè quando il suo corpo aveva di nuovo ristabilito le sue forze, perse dall’ascetismo, che la mente era tranquillizzata dal contentamento di essere soltanto seduto, di vivere, senza pensare: io vivo, io faccio, io capisco. Il contrario del non fare, non capire, non pensare. Non fare non vuol dire che non ci sono azioni, non pensare non vuol dire che non ci sono pensieri eccetera. Ma non c’è una volontà, un ego che interferisce. Si adatta continuamente.

Perciò sedersi nel seno del sangha è così importante. Fare le sesshin è importante, giustamente per ritrovare il contentamento del vivere nello stato puro, di sviluppare la capacità di adattarsi a ogni movimento, di essere vigile, di reagire e di assorbire tutto. Di rinfrescare la comprensione che non c’è mai qualcosa di stabile, raggiunto, è impossibile. È sempre di nuovo continuamente essere vigile, adattarsi.

Secondo zazen

Per favore, non lasciatevi trascinare fuori dal momento presente per colpa dei vostri pensieri o magari per qualche dolore. Non identificatevi.

In questo momento non c’è nulla di più importante che il semplicemente essere seduto. Nessun pensiero, nessuna persona, nessun problema, nessun progetto, nessun desiderio è più importante che il semplicemente essere seduto nel vostro metro quadro, davanti al muro, in questo momento.

Tutto e tutte le vostre vite sono presenti in questo momento. Dal risveglio del Buddha, dal momento dell’arrivo di Bodhidharma in Cina, tutti, che siano intelligenti o stupidi, belli o brutti, giovani o vecchi, operai o ministri, tutti hanno vissuto null’altro che un solo momento dell’essere seduto dritto.

Un solo momento.

Questo indica che siamo completamente contenti, soddisfatti e colmi di questo momento nel quale siamo semplicemente seduti.

In questo momento, in quel sedersi, tutta la vita è realizzata, attualizzata, compiuta. E veramente non c’è nulla da cercare fuori dalla propria vita. Tutti gli elementi sono presenti dall’inizio.

E sedersi dritti, senza seguire pensieri, senza tenersi discorsi, viviamo completamente la propria vita, realizziamo totalmente che non c’è null’altro da cercare.

Dobbiamo non aspettarci altre cose che di soltanto fare completamente uso di sé stesso. Se non lo fate è perdere la vita. Non dipendere da nessuno, solo voi stessi, ognuno per sé stesso può realizzare, compiere la propria vita.

Sedersi dritto, è ricevere e è darsi la totalità della propria vita.

Se non diamo la vita a noi stessi nello stare seduto dritti, siamo veramente come delle statue di pietra, come un albero morto, anche se corriamo molto indaffarati dall’ovest all’est, e che non troviamo questo che cerchiamo.

Se ci si ferma e si guarda, se ci si siede, si capisce che tutto ciò che abbiamo cercato è già dall’origine presente. Soltanto non abbiamo mai creduto che siamo completi.

Non c’è da spolverare, non c’è da costruire e non c’è da raggiungere. Soltanto fermarsi e sedersi. E tutta la vita si realizza in un solo momento, e tutto non è null’altro che un solo momento di sedersi dritti. Siamo felici e completi. Siamo nella profonda gioia di vivere totalmente la propria vita.

Che cosa può avere più valore nella vita di un essere umano che di vivere la vita umana completamente, senza perdersi, senza tagliarsi in pezzi e dare più importanza a altre persone, a altri oggetti, che di vivere completamente il momento nel quale siamo vivi qui e ora, null’altro. Zazen è veramente quella meravigliosa porta del Dharma che apre alla gioia e alla pace nella propria esistenza.

Sottolineo: veramente non c’è nulla da cercare al di fuori da noi stessi, al di fuori da questo momento, al di fuori dall’essere totalmente semplicemente essere seduto.

Semplicemente fare questo che c’è da fare, senza lamentarsi, senza rimpiangere, senza dispiacere.

Praticare in quel modo è commemorare sinceramente e rispettosamente tutti gli antenati.

Lo zazen è lo stato più alto, più nobile nel reame dell’essere umano. E non si riconosce più che sia un Buddha o un essere umano ordinario. Opposizione non c’è, differenza non c’è, valore, differenza in valore non c’è.

Tutti al massimo della propria esistenza. Praticare zazen, praticare sesshin, mangiare insieme, lavorare insieme, è la totalità della vita umana. È rispettare la vita, è essere colmo della vita.

Chi passa questa porta del Dharma dello zazen è come un pesce che traversa la porta nell’oceano, e senza cambiare aspetto esteriore, diventa un dragone. Così anche l’essere umano che si siede retto, è diventare un dragone, un elefante, che proclama silenziosamente il Dharma del Buddha.

Rev. Sengyō Van Leuven

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