Ieri c’era la commemorazione del risveglio del Buddha Shakyamuni ed oggi
commemoriamo il secondo Patriarca che si è tagliato il braccio.
Due esempi di una grande decisione e perseveranza, una grande fede ed una
dedicazione a tutti gli esseri; nel frattempo sono anche esempi perfetti di come, per
raggiungere la Via e realizzare il risveglio, si deve fare delle cose, si deve realizzare, fare
continuamente.
L’altro giorno qualcuno mi ha mandato un testo e mi che diceva: “vedi, non c’è bisogno di
praticare perché siamo dall’origine, da sempre Buddha”; ed invece no, abbiamo tutti la
possibilità di diventare dei Buddha, abbiamo tutti la natura di Buddha, cioè la Vacuità,
l’Impermanenza, ma non siamo dei Buddha.
Quelli che associano “Io” e “Me” al Buddha, sono molto illusi, si sbagliano
fondamentalmente, si sbagliano perché negano l’interdipendenza, la coproduzione
condizionata, cioè di creare le condizioni per attivare e realizzare la natura di Buddha per
far apparire il Buddha, ma mai siamo Buddha; fintanto che c’è qualcuno, il Buddha non
esiste; non era così per Shakyamuni, non era così per Bodhidharma, per Eka, per Eno,
per Nyojō, per Dogen, per nessuno.
Il grande ego, il grande e forte ego che vuole essere tutto, non è in grado di realizzare
Buddha.
Quel testo che mi è stato mandato veniva dall’America, da insegnanti Americani. Gli autori
si sbagliano profondamente ma riflette proprio la cultura americana, che purtroppo è
diventata più o meno mondiale, cioè tutti sono quello che vogliono, questa è un’eresia.
Come in quel tempo tutti devono avere un diploma universitario: è ridicolo!
Tutti devono avere accesso ad un insegnamento, ma non serve a nulla livellare verso il
basso così da poter dare a tutti un diploma universitario, è un’eresia: distrugge la società,
perché? Perché nega, perché non tiene conto della legge fondamentale dell’Universo:
quella della coproduzione condizionata. Quella non intende una gerarchia tra gli esseri
umani, gli esseri umani sono tutti uguali nel loro valore, ma il loro valore non dipende da
diplomi, il loro valore dipende dalla loro umanità, dalla loro compassione, dalla loro
pazienza, dalla loro capacità di dare, di offrire, offrire un lavoro ben fatto, offrire un sorriso,
offrire una comprensione e una compassione, il valore umano non ha nulla da vedere con
certificati e diplomi.
Un alto diplomato che è infelice, avaro non è un essere umano realizzato, non ha valore
perché non si prende cura di stesso, cioè dal decidere di essere felice, malgrado e contro
tutto, tutti, di mettere in opera attività, il modo di pensare, i punti di vista per essere felice
ed essendo felice dare grande regalo agli altri. Certo, passiamo delle valli, dei momenti
difficili ma i momenti difficili non ti distruggono se hai l’atteggiamento giusto, cioè di vedere
l’impermanenza e di vedere tutte le belle panoramiche ed immagini della valle; senza una
valle, la cima non ha nessun significato. Per essere un grande essere umano c’è da
sedersi di fronte ad un muro abbandonando il proprio karma, abbandonando
l’attaccamento al karma, alle immagini di se stesso, a voler realizzare, a voler essere
particolare; “io”, “me”, tutte queste vecchie convinzioni, condizioni si abbandonano. Questo
è abbandonare corpo-spirito, questo è rispettare la Legge Universale, rispettare, onorare,
lavorare con la coproduzione condizionata, cioè capire il funzionamento profondo della vita
ed “io” non potrò mai essere un Buddha; quando non c’è un “io”, quando non c’è nessuno
a casa e non c’è neanche una casa, Buddha appare, si manifesta, si realizza.
Per favore non sedetevi davanti al muro, semplicemente “seduto davanti al muro”. Non
“io”, non “nessuno”.
Nello zazen non facciamo nulla, siamo seduti bene sul cuscino, sul perineo, gli ischi, le
ginocchia sono ben radicate al suolo, il corpo è naturalmente in equilibrio, retto, gli occhi
sono aperti e lo sguardo cade naturalmente verso il basso, la respirazione si fa attraverso
il naso e scende fino al basso ventre, fino al perineo ma non spingiamo, non forziamo.
Infatti lasciamo la presa del corpo-spirito cioè tutti i cinque aggregati, il corpo, la materia, si
rilassa e non creiamo tensioni, il corpo è nello stato naturale in equilibrio tra tensione e
distesa e poi anche i quattro altri aggregati: le funzioni della mente.
Quando lasciamo la presa da ogni identificazione ed attaccamento ad uno dei cinque
aggregati, sia al corpo, sia ad ogni funzione della mente, corpo-mente funzionano insieme,
cioè che tutta la vita funziona in unità. Capire che non possiamo forzare la vita di
funzionare totalmente, che la vita, corpo-spirito funziona in unità è unicamente e
naturalmente il risultato del lasciare la presa.
Zazen è veramente la Via del Mezzo: tutto funziona e nello stesso momento viviamo la
vita oltre ogni attaccamento ad una qualsiasi funzione, qualsiasi funzionamento.
La chiarezza, la luce esiste insieme con il buio e l’oscurità, cioè che nello zazen
naturalmente ci sono pensieri, pensiamo, nello stesso momento lasciamo andare, apriamo
la mano del pensiero. Pensare e non pensare quindi esistono insieme e la vita vissuta al di
là di ogni funzione ed estremo del pensiero, dal pensare ed il non pensare, buio e dal
chiaro, questa è la Via del mezzo.
Non sopprimiamo i pensieri, soltanto diamo la libertà ai pensieri di tornare alla loro origine,
cioè alla loro vacuità. I pensieri appaiono perché influenzati dal nostro Karma, cioè dalla
nostra storia in ogni aspetto; zazen è liberarsi dal peso del proprio Karma, quindi vivere al
di la, lasciare la presa permette il funzionamento totale della vita. Respiro ma non cerco
nulla di particolare con il respiro. Sono seduto ma non forzo i muscoli, le articolazioni
stanno completamente a riposo. Questa è la condizione normale dell’essere umano, cioè
al di la del pensiero e dal non pensiero, dalla forza muscolare e dall’assenza. Lasciare
cadere ogni preferenza quando mangiamo, vuol dire che mangiamo con tutto il corpo e
non soltanto con la bocca ed anche se c’è piacere in questo che mangiamo non si
identifica con questo piacere. Quindi la Via del mezzo non è avere piacere ma di vivere il
piacere completamente senza attaccamento, questo non vuol dire abbandonarsi al
piacere, al contrario è non attaccarsi quindi lasciare andare liberamente ogni piacere, ogni
discriminazione tra “questo mi piace, questo non mi piace”, “questo lo voglio, quell’altro
non lo voglio”.
Viviamo completamente senza preferenze facendo ciò che c’è da fare in questo momento,
sappiamo e nello stesso momento non sappiamo perché lasciamo la presa dalla
convinzione di aver capito e si riesamina tutta la situazione automaticamente con corpo e
mente funzionando insieme. Così si risolve la propria sofferenza, la sofferenza dell’essere
umano che si dà ad uno o altro aspetto della vita, o troppa importanza all’intelletto, al
capire, oppure troppa importanza all’edonismo e così via.
Risolvere consiste nel continuamente aprire la mano e lasciarci funzionare totalmente:
zenki, la funzione totale di tutto insieme con tutto, senza barriere, senza discriminazioni.
Senza discriminazione non vuol dire non esercitare il discernimento, ma effettivamente
discernere cosa porterà sofferenza e cosa non lo fa, quali cose portano piacere istantaneo
ma lasciano corpo-mente in un bagno di acido, distruggendolo; la stessa cosa per l’altro
estremo, imporre sacrifici, dolori, negare conforto, essere duri. Zazen è quando luce ed
oscurità esistono insieme e non si escludono mutualmente; questo non escludere, questa
esistenza armoniosa portiamo inconsapevolmente nella vita quotidiana quando, durante lo
zazen, si impregna profondamente nella vita aldilà della vita abituale con le sue
discriminazioni.
La via del mezzo, è questo che porta pace e serenità nella propria vita ed è una pratica
continua con alti e bassi, questi alti e bassi sono la Via del mezzo: c’è l’impegno ma
l’impegno libero, un impegno totale non diretto dalla volontà ma diretta dalla saggezza
dello Zazen. Nello zazen capiamo che nulla esiste perché tutto esiste soltanto
nell’interdipendenza con tutte le altre cose, perciò è detto nell’Hannya Shingyo: non c’è
occhio, non c’è naso, non c’è bocca, non c’è lingua eccetera, non esiste nulla,
semplicemente perché la bocca non funziona senza gli occhi, senza le orecchie, nulla
esiste da se stesso su se stesso. Vacuità quindi.
Lo zazen è sempre sedersi in silenzio anche se ci sono pensieri e discorsi che appaiano
nel mentale, quando siamo davanti al muro non li seguiamo, non hanno una vera
importanza.
Ho parlato di spogliarsi davanti al muro, di mettersi nudi, cioè di non negare ma neanche
non attaccarsi alla propria cultura, alla propria immagine che facciamo di noi stessi,
all’immagine che aspettiamo dagli altri.
Davanti al muro tutti abbandonano l’identificazione alla loro storia, alla loro cultura, esiste
ed ha le sue influenze ma non c’è fissazione, va e viene. Questo va e viene è spogliarsi, è
mettersi a nudo. Così davanti al muro tutti sono ugualmente nudi e presenti, spogliati da
ogni vestito che abbiamo l’abitudine di metterci addosso da piccoli: “sono così e non altro”,
“appartengo a questo gruppo sociale e non a qualcos’altro”, “sono superiore in questo e
questo punto”, “sono minore in questo e questo punto”.
Tutte queste opinioni, le riconosciamo e nello stesso momento ci si libera. Questa
liberazione, questo è vacuità, è la Via del mezzo, è spogliarsi e solo spogliati possiamo
vivere insieme, senza creare continuamente opposizione e discriminazione, cercare
vendetta e così via.
Se non accettiamo la nostra diversità fondamentale, ognuno per se stesso, non possiamo
vivere come un insieme. Questo è il koan di questi tempi, nel quale attraverso i media, le
influenze ed il senso di unità ed allo stesso momento il senso di diversità e differenza
cresce. Il koan è: “come possiamo vivere in pace non soltanto con se stesso ma anche
con gli altri”.
Davanti al muro non c’è nulla da provare e da affermare, non c’è nulla da manifestare.
Tutti i patriarchi si sono seduti davanti al muro con l’obbiettivo di realizzare lo stato di
Buddha per il bene di tutti, non per l’orgoglio personale, non per avere e dimostrare la
propria saggezza, non per essere particolare nella società, non per levitarsi, non per poter
innalzarsi, essere risvegliati; è soltanto sempre e di nuovo, ogni momento tornare alla
normalità della vita e nella normalità tutti i vestiti che abbiamo l’abitudine di metterci
addosso nella società non hanno una funzione, non servono, al contrario impediscono che
viviamo insieme.
Non è che dobbiamo buttare via tutto, ma senza buttare via essere libero, questo è la Via
del mezzo che permette che tutti possono vivere assieme, in armonia, nella pace;
armonia, pace e serenità non definiti da nessuno, ma rinnovati in ogni momento.
Serenità, pace e così via sono concetti vivi, non statici, e comunque non corrispondono
mai all’immagine che ci abbiamo fatto.
Vi auguro buon lavoro su questo Koan.
Rev. Sengyō Van Leuven