Primo Kusen
Non lasciate che lo zazen sia oscurato dall’abitudine. Nello zazen ogni momento è fresco, nuovo presente, concentrato, in equilibrio con l’osservazione. È sempre di nuovo riequilibrare sia il corpo, sia la mente. In ogni momento risvegliarsi e non cadere nella trappola delle illusioni, illusioni come “mi piace, non mi piace, voglio dormire, stare a casa, fare altra cosa, bello, brutto, poco, molto”. Tutte queste categorie sono desideri, espressioni di un desiderio egocentrico, illusioni. Per favore non addormentatevi nell’illusione, risvegliatevi e uscite dall’illusione.
Se siamo qua riuniti, se continuiamo lo zazen, vuol dire che in un modo o nell’altro, abbiamo comunque intravisto la verità della vacuità. Continuiamo per poter creare la nostra propria vita, nuova, in armonia con la vita stessa, al di là delle preoccupazioni egocentriche, dei desideri personali. Anche quando diventiamo vecchi o troppo vecchi, malati o sani, continuiamo con perseveranza la Via. Continuiamo a vedere in un solo colpo d’occhio, tutta la realtà della vacuità. Con lo zazen ritorniamo verso la semplicità, la semplicità della propria esistenza. Semplicità con la famiglia spirituale, religiosa, il Sangha, che va oltre e più in profondità che la famiglia di sangue.
Nell’abbandono dei punti di vista personali e egocentrici, sperimentare la liberazione da tutti i limiti, da tutti i fastidi che abbiamo stabilito per noi stessi, si continua per aumentare la luce della realizzazione di tutto il Sangha.
Secondo Kusen
Nello Zen, com’è stato insegnato da Dogen Zenji, niente è limitato a un punto di vista di scuola, di persona, di tempo. Dogen Zenji ha sempre insegnato lo Zen al di là di ogni separazione. Insegnava shikantaza e diceva che shikantaza è l’insegnamento del Buddhadharma che è stato trasmesso in modo corretto e la Via di Buddha, la Via di tutti i Buddha, di tutti gli insegnanti, gli antenati, di tutto il buddhismo prima che ci fosse qualsiasi divisione.
L’insegnamento che Dogen Zenji ha ricevuto dal suo maestro Nyojō è che praticare Zen è lasciare cadere e abbandonare il corpo-spirito e che praticare lo Zen è praticare zazen. Lo descrive come la via suprema, al di là di tutte le vie supreme. La sua esperienza era che il risveglio si manifesta quando si pratica shikantaza, cioè quando la pratica stessa è basata sulla realizzazione stessa. Dogen dice che l’opinione, il pensiero, che pratica ed esperienza non siano una sola cosa, è l’idea di ignoranti non buddhisti.
Nel Buddhadharma pratica, esperienza e realizzazione sono uguali.
La pratica di adesso è basata sulla realizzazione, perciò l’impegno di un principiante sulla Via è tutto il corpo della realizzazione originale.
Attraverso tutti gli scritti di Dogen e tutti i maestri del lignaggio, si insiste sempre sulla continuazione della pratica dello zazen. Senza zazen non c’è realizzazione e senza zazen tutte le altre pratiche non hanno senso. Senza zazen tutte le azioni della vita quotidiana sono forme vuote, ma con zazen praticato shikantaza, tutte le pratiche hanno la caratteristica dello shikantaza, tutte le azioni della vita quotidiana hanno il carattere dello shikantaza.
Cioè incorporare completamente tutti gli insegnamenti del Buddha nel corpo-spirito, al di là della semplice mente, sentire una spiegazione, leggere un testo o capire un testo.
Come pensiero, il buddhismo è limitato. Per praticare il buddhismo, per trasmetterlo alle generazioni future è di un’importanza vitale abbandonare concetti, punti di vista, pregiudizi per confrontarsi direttamente, per stare direttamente, volto a volto, con la realtà nella quale si vive, cioè qui e ora.
Si può studiare quanto si vuole, ma dal momento che non è utilizzato, che non è messo in pratica nella vita quotidiana, non ha nessun valore, non ha nessuna utilità, non permette la realizzazione, è soltanto qualcosa di vuoto, limitato al livello del concetto e non vissuto, non incorporato: una cosa morta non si può trasmettere.
Praticare nello Zen richiede che diamo il nostro corpo-spirito completamente al compito, alla cosa da fare in questo momento, sia essere seduto davanti al muro nella postura giusta, sia lavarsi il volto, fare la cucina o mangiare o lavorare, ogni cosa richiede l’abbandono completo del corpo-spirito per continuare il proprio training nello Zen, il proprio allenamento e non soltanto durante la pratica dello zazen. Questo è il significato di shikantaza: praticare non con l’obiettivo ben determinato di ottenere qualcosa attraverso zazen, ma per capire attraverso il corpo-spirito abbandonato che zazen stesso è la pratica di Buddha. La pratica di Buddha è lo zazen: praticare zazen in modo giusto con impegno e sincerità.
Shikantaza è lasciare sedere Buddha sullo zafu. Shikantaza è lasciare Buddha manifestarsi in tutte le azioni della vita quotidiana.
Buddha, spogliato dei preconcetti sul come deve essere, quale deve essere il suo aspetto, quale pratica, ma la pratica che va sempre al di là delle limitazioni personali, delle idee personali che possiamo avere e di affidarsi completamente all’insegnamento di shikantaza, di farne un’esperienza personale. Seguire la guida del maestro, seguire la Via della trasmissione è smettere di seguire la via dell’ego.
È soltanto lasciando la presa dal funzionamento dell’ego che Buddha si manifesta, che la Via si realizza.
Terzo Kusen
Quando si inizia la Via dello Zen, quando entra nel tempio, ognuno tra noi aveva o ha un’altra aspettativa, un altro scopo che voleva realizzare, ma infine tutto si riassume nel cercare il bene, cercare di avere una miglior qualità della vita. Però delle volte la postura è dolorosa e ci si chiede quale bene si possa trovare nell’avere il male, il dolore. Male al ginocchio, male alla schiena, alla nuca, ecc… Male nella mente, perché vengono pensieri che non vogliamo vedere, avere, pensare. Nonostante questo lo zazen è sempre volto a migliorare la qualità della vita, non soltanto della propria vita, ma attraverso il miglioramento della qualità della propria vita, migliorare la qualità della vita degli altri. Insomma è tornare alla condizione normale dell’essere umano: un essere completo, un essere che ha risolto lo stato prima che avvenisse la separazione attraverso l’identificazione ai pensieri, ai concetti, ai desideri.
Quarto Kusen
Ieri 8 dicembre era la commemorazione del risveglio del Buddha. Siddharta è partito, ha lasciato il suo stile di vita per cercare il bene per se stesso e tutti gli altri. Fu molto influenzato da alcuni incontri che aveva fatto. Un vecchio, un malato, un cadavere e un uomo che cercava di vivere una vita religiosa. Attraverso questi incontri ha capito che la ricerca del bene per tutti era molto più importante che rimanere in famiglia e camminare sulle orme del padre, governare il paese.
Attraverso lo zazen Buddha è sempre di nuovo presente. Non il corpo di Buddha Shakyamuni, questo è stato cremato, ma il Buddha nel senso del risveglio, nel senso di un atteggiamento degno, nobile, per il bene di tutti. Tutti noi facciamo sempre tanti incontri, tutti i giorni nella nostra vita. Tutti quegli incontri lasciano la loro impronta, cosciente o no. Nello zazen, l’incontro più importante è l’incontro con la realtà così com’è, l’incontro con il vero se stesso, spogliato di tutti i nostri concetti, tendenze. E vediamo, impariamo il modo di vivere attraverso la pratica dello zazen, attraverso il risveglio che si manifesta nella pratica. Anche se delle volte la pratica è difficile, delle volte facile, non importa, è sempre la pratica e sempre insegna come vivere, come vivere in modo degno. Mostra come esprimere, come manifestare, l’insegnamento di Dogen che lui ha realizzato nell’incontro con un vecchio tenzo che è la base per tutto il resto del suo percorso religioso.
Ichisoku buppo: le forme degne sono esse stesse il risveglio del Buddha.
Comportarsi bene, degno al di là delle proprie idee sull’essere degno, sul chi siamo, ma partendo dalla vacuità del vero se stesso, sviluppiamo ogni momento un’azione, un atteggiamento degno che esprime la totalità dell’insegnamento del Buddha, la totalità della ricerca per il bene per tutti. Quando si parla di tutti gli esseri, il bene per tutti si intende se stesso incluso – mai dimenticare questo.
Nessuna azione, nessun atteggiamento sta fuori il Buddhadharma. Ogni atteggiamento, ogni pratica, ogni azione, insegna a noi stessi il Buddhadharma, esprime la profondità del Buddhadharma. Cioè crea la condizione giusta per incontrare non soltanto gli altri, ma anche se stessi e per imparare dalla realtà così com’è in quel momento, l’importanza di vivere seguendo il Buddhadharma. Di lasciare stare il vivere seguendo le proprie opinioni, punti di vista egocentrici che portano soltanto la frustrazione, il caos, a volte pure la guerra. L’incontro con la pratica sincera, profonda del vecchio tenzo in Cina, ha influenzato e formato tutto l’insegnamento di Dogen per il resto della sua vita e è ancora sempre questo insegnamento, questa pratica che stiamo facendo in questo momento.
Buddha Shakyamuni, Bodhidharma, Yakujo, Dogen, tutti sono qua, presenti attraverso la pratica di ognuno e di tutti insieme, seduti in shikantaza, davanti al muro.
Quinto Kusen
Concentratevi completamente, cioè con tutto il vostro essere, sulla pratica del qui e ora. Solo qui e ora possiamo fare zazen, possiamo sederci shikantaza, senza scopo personale, ma al di là di ogni scopo personale vi è uno scopo molto più ampio, vasto, con uno stato di spirito che non cerca di afferrare qualsiasi pensiero. Hishiryo, al di là del pensare.
Il tenzo sa molto bene quando deve essere fatto qualcosa e come. Capisce che non possiamo rimettere a più tardi certe cose da fare adesso, che non può delegare a altri il suo compito, solo lui può fare le cose che lui deve fare. Così va anche per tutti, ognuno ha il suo che deve fare in quel momento, che nessun altro può fare. Soltanto noi stessi. Avere voglia o no, sentirsi male o bene, comodo o infastidito, non importa per praticare. Questo perché la vita non la possiamo rimettere a più tardi. La vita non riconosce, non dà possibilità, ripetizioni, prove, richiede di essere vissuta qui e ora completamente.
Nella nostra vita la realtà della vita è che in genere le cose non vanno nel modo in cui vogliamo, che abbiamo sperato, la realtà della vita è più spesso che è molto diversa dalle nostre aspettative. Ma non importa. Se non si smette di lamentarsi che le cose non vanno come le avevamo sperate, non cambia niente alla realtà della vita, diamo soltanto fastidio a noi stessi e a quelli intorno a noi.
La realtà della vita, richiede la presenza totale della persona in ogni momento. Non c’è modo di vivere la vita col pilota automatico, siamo esseri viventi, esseri umani e dobbiamo utilizzare tutte le nostre possibilità di confrontarci con la vita. Cioè di smettere di vedere tutte le cose che non vanno come lo vogliamo, come barriere, come difficoltà, come situazioni che impediscono di praticare. Al contrario, sono uno stimolo per praticare in modo ancora più completo, con più impegno, più sincerità.
Impariamo attraverso la pratica che non possiamo fare economie nel confronto della vita, che non possiamo ripetere la vita e che se vogliamo che la vita abbia senso, che tutte le cose ordinarie, quotidiane abbiano un senso, bisogna che siamo completamente presenti, che diamo tutta l’esistenza nell’azione che è richiesta di essere fatta qui e ora. Questo aumenta la qualità della vita: essere un praticante della Via dello Zen. Sappiamo che è estremamente difficile continuare quella attitudine nella vita quotidiana di tutti i giorni se non è influenzata dalla pratica dello zazen insieme nel seno del Sangha e sotto la guida di qualcuno di più esperto.
Nessuno può prendere il posto di nessuno, solo io posso fare il mio lavoro, il mio compito. Solo io posso vivere la mia vita, solo io posso realizzare la Via, il risveglio. Ma non io da solo, io in interdipendenza forte con tutti, insieme con tutti, andando tutti insieme nella stessa direzione, sostenendo e ricevendo il sostegno di tutti con l’abbandono totale di ogni pensiero egocentrico. Solo così, nell’abbandono di ogni pensiero egocentrico possiamo vivere la vita completamente, possiamo compiere le cose da fare qui e ora, solo così possiamo dare senso alla vita. Nella sua banalità, nella sua condizione normale, abituale, quando non c’è più interferenza di un pensiero egocentrico, del volere o non volere, avere voglia, piacere o no, possiamo dire “io”, e quell’io rappresenta un ego cosmico, un ego non separato da tutte le altre esistenze nell’universo. Non è l’io che corrisponde all’immagine che si può avere del proprio corpo, della propria vita, del proprio pensare, delle proprie realizzazioni, quel piccolo io è soltanto capace di illudersi e non può dare il senso vero alla vita, al vivere insieme alla via. Ma questo grande io sì, perché non è diverso da tutti gli altri io dell’universo, umano o no. Accettiamo tutto ciò che succede nella vita e non lasciamo che queste situazioni rovinino la qualità della vita. Questo è praticare la via del Buddha, questo è dare senso alla vita.
Sesto Kusen
Ieri ho parlato dell’importanza di riconoscere che spesso le cose non vanno come vogliamo, ma il problema non è questo – è una verità ovvia – ma come la incorporiamo, come facciamo, come ci confrontiamo con questa verità così ovvia.
Il punto importante è di non cadere nella trappola del rimpianto o dell’ansia. Realizzare che in questo momento c’è solo una vita e una persona, cioè che non possiamo sperare che qualcuno venga a vivere un momento difficile al nostro posto. Lo dobbiamo affrontare completamente, con lo spirito non oscurato da aspettative e fare le cose che dobbiamo fare in questo momento, le cose che sono ovvie, senza ragionare troppo. Se salutiamo qualcuno, lo salutiamo completamente, senza pensare a qualcos’altro. Senza vedere la persona nella luce delle immagini, preconcetti e pregiudizi che si presentano alla mente, che si manifestano immediatamente. Riconoscere quei aspetti e non seguirle, permette che facciamo completamente l’azione di salutare. E così con tutte le azioni. Fare completamente la cosa che è da fare in quel momento senza aspettarsi un certo resultato.
Quando ero giovane c’era una canzone che mi fa sempre pensare: it’s now or never. Non so più chi la cantava, non importa, ma è una verità così ovvia che non ci facciamo molta attenzione, che rimane soltanto un concetto, un sogno. Ma se vogliamo che la vita che viviamo abbia un senso, che dia soddisfazione, non possiamo perdere un momento, un momento per lavorare e quando è il momento di riposarsi, riposare. Quando c’è il momento di sedersi in zazen, fare zazen e non cominciare a pensare, sognare, dormire, creare troppe tensioni nel corpo, nella mente, ma di ristabilire continuamente l’equilibrio.
Se non facciamo attenzione a essere presenti ogni momento e se non incorporiamo questa verità semplice di fare la cosa che deve essere fatta in quel momento, non facciamo attenzione e se non siamo consapevoli, cominciamo a aspettare e a richiedere l’impossibile. Non c’è un modo di vivere una vita perfetta, ma per andare nella direzione di una vita completa, soddisfacente, bisogna portare attenzione e consapevolezza, di curare e badare alla vita in quel momento. Senza progettarsi nel futuro e creare illusioni con aspettative che non saranno mai compiute, senza rimpiangere, né credere che se avessimo fatto in modo diverso nel passato, sarebbe più facile adesso.
C’è soltanto una sola risposta e è di essere presente e di vedere chiaramente al proprio tempo, alla propria velocità che cosa è necessario fare qui e ora. Che cosa sto facendo? Mi do al cento per cento all’azione o invece lo faccio così così, in maniera trascurata?
Che cosa è necessario per vivere completamente, per creare soddisfazione in modo che al momento della morte non ci sono lamentele sulla vita, di dire: “non ho vissuto”. Al momento della morte è troppo tardi, quindi cominciamo adesso a fare zazen, perché siamo seduti nello zendo. Dopo recitiamo i sutra e facciamo i pai, lo facciamo abbandonando il corpo-spirito nel recitare e nell’inchinarsi.
Quando si mangia la guenmai, mangiamo essendo completamente presenti e gustiamo veramente, completamente, quindi senza osservazioni o commenti, il riso e le verdure.
Fare il samu completamente, senza lasciarsi distrarre dall’abitudine di chiacchierare, di distrarsi, di scappare via dal momento. Insomma non dobbiamo paragonare noi stessi agli altri, ognuno deve fare il suo perché è solo la persona stessa che può fare le cose che la persona deve fare, al proprio ritmo e nella propria possibilità, ma con totalità.
Non pensare “lui o lei è più bravo di me” o “sono più bravo o brava dell’altro”: è un’attitudine stupida, perché crea separazione, sofferenza e perdiamo la possibilità del momento per vivere completamente, per bruciare, consumare completamente il momento. Vivere una vita portata, inspirata, dallo Zen.
Settimo Kusen
Non lasciatevi influenzare dai pensieri: il sentimento di essere stanco utilizziamolo in modo positivo, cioè cogliere questa stanchezza per lasciare la presa più facilmente dal funzionamento dell’ego e di smettere di praticare con l’ego, con la volontà, con il giudizio, ma di abbandonarsi completamente, corpo e spirito, buttarsi nella casa di Buddha.
Se c’è stanchezza, accogliamola con piacere. C’è poca energia? Allora non sprecare quell’energia in una battaglia con i giudizi che non dovrebbe essere così stancante. Per respirare senza ostacolo correggiamo la postura delicatamente e osserviamo come il lasciare la presa fa generare, produce l’energia, l’equilibrio, la chiarezza dello spirito.
Buddha, dopo il risveglio, ha cominciato a insegnare e per quarantacinque anni non ha mai smesso di praticare, praticare zazen, lo studio di se stessi. E lasciare la presa dalle tentazioni di Mara, diciamo da tutti i bonno.
Lasciamo via libera allo zazen per riconoscere, per lasciare la presa, per ricevere tutto il bene dell’esistenza in questo mondo. Sempre di nuovo praticare, fare attenzione alla tendenza umana di aggrapparsi a un concetto o a una comprensione, ma di stare nella casa di Buddha dove c’è libertà, presenza, abbandono.
Abbandono dall’aggrapparsi per ricevere tutti i meriti dello zazen. Se Buddha ha potuto riconoscere che Mara veniva a visitarlo è un grande esempio da seguire. È inutile di cercare di nascondere la presenza della tentazione di Mara, che ci stanno tirando fuori dalla casa di Buddha, che fa che cominciamo a trascurare la pratica, il proprio benessere, l’attenzione a se stessi e agli altri. Se nascondi non lo può riconoscere e quindi lasciare la presa. Non c’è vergogna nella presenza dei bonno, c’è onore e salvezza nel non seguire quei bonno.
Celebriamo il risveglio di Buddha continuando la pratica giusta dello zazen, sviluppando le Paramitā, vivendo una vita diretta dai quattro voti del bodhisattva, con l’aiuto dei sedici precetti.