Di seguito un estratto del discorso del Dharma, tenuto dal Rev. Taibun San il giorno 16 dicembre 2016 al Tempio Zen Jōhōji di Roma, circa le origini del Buddhismo Soto in Giappone e sull’opera dei suoi fondatori.
1.I due fondatori della tradizione Soto Zen
Due sono ritenuti i fondatori nella tradizione Soto Zen giapponese. Dogen Zenji e Keizan Zenji. Entrambi hanno giocato un ruolo diverso e spesso contrastante nella storia dello Zen Soto. Usando una metafora Dogen è a volte chiamato come il padre e Keizan la madre dello Zen Soto.
Si ritiene che Dogen sia anche il fondatore dell’insegnamento scritto. Redasse infatti un gran numero di libri ed i suoi discepoli trascrissero molti dei suoi insegnamenti verbali. Dei suoi libri lo Shobogenzo è il più famoso e consiste di ben 95 capitoli. Ci sono anche molti altri libri, come per esempio lo Eihei Shingi, che contiene le regole monastiche per il tempio di Eihieji, da lui fondato, oppure come lo Hokyoki, scritto durante la sua permanenza in Cina, che contiene le sue memorie circa gli insegnamenti ricevuti dal suo maestro cinese Nyojo Zenji.
Le parole di Dogen furono trascritte dal suo primo discepolo, Ejo Zenji, e queste più tardi presero appunto la forma di un libro: lo Shobogenzo Zuimonki. E’ grazie a tutti questi scritti e alla devozione del suo discepolo che la dottrina del Buddhismo Zen Soto venne create.
Alla morte di Ejo Zenji, ci fu un conflitto molto serio tra i successori al tempio di Eiheiji. Il monastero perse quindi di importanza, e non si sviluppò nel periodo successivo.
Si ritiene che Keizan Zenji sia il fondatore della comunità dello Zen Soto. Keizan Zenji nacque nel 1268, fu ordinate da Ejo Zenji e ricevette il Denpo da Gikai Zenji. Egli rappresenta quindi la quarta generazione dopo Dogen.
Al momento in Giappone ci sono circa quindicimila tempi Soto Zen e circa il 90% di questi appartiene al lignaggio di Keizan. Grazie all’attività di quest’ultimo e a quella dei suoi discepoli lo Zen Soto divenne molto popolare e conosciuto in tutto il Giappone. Ma Keizan non scrisse granchè, soprattutto se lo paragoniamo a Dogen.
Il suo libro più famoso ed importante è il Denkoroku, ma anche in questo caso non è un libro scritto di suo pugno ma una trascrizione dei suoi Teisho redatta da uno dei suoi discepoli. In realtà Keizan non portò nuovi contributi alla dottrina dello zen Soto, ma riuscì ad educare secondo i principi fodamentali di quest’ultima i suoi eminenti discepoli.
Mentre Dogen scrisse molti libri e contribuì a trasmettere il suo insegnamento fino a farlo arrivare ai nostri giorni, Keizan si dedicò all’educazione dei suoi discepoli. Come risultato finale il ruolo contrastante dei due fondatori servì da spinta e supporto nello sviluppo dello Zen Soto.
2. Dogen Zenji
2.1: Incontro con il Buddhismo
Dogen Zenji nacque in una famiglia aristocratica nel 1200. La madre morì quando Dogen aveva 7 anni. Si dice che abbia allora realizzato l’impermanenza del mondo terreno ed abbia iniziato a studiare Buddhismo.

Il padiglione della predicazione del Dharma dell’Enryaku-ji, il tempio principale della scuola buddhista giapponese Tendai (credits)
All’età di 13 anni fu ordinato monaco presso la scuola buddhista Tendai del monte Hiei. Questo ha una grande importanza per noi dal momento che la domanda che lui pose nei confronti dell’insegnamento Tendai si relaziona fortemente con le basi dell’insegnamento Soto Zen. La sua domanda fondamentale fu:
Se gli esseri umani possiedono tutti la natura del Dharma fin dalla nascita allora come mai tutti i Buddha di tutte le epoche hanno ritenuto necessario cercare l’illuminazione e adoperarsi in una pratica spirituale?
In generale, nel Buddhismo, l’oggetto della pratica è il risveglio. Ma, nella concezione Tendai, si ritiene che tutti gli esseri umani siano illuminati per natura e che tutti gli esseri senzienti possiedano la natura di Buddha. In tale concezione non esiste l’idea che si possa ottenere l’illuminazione attraverso una pratica. La domanda di Dogen era quindi: “ma se già siamo illuminati per quale motivo dovremmo praticare?”
Sarebbe possibile dare una risposta semplicistica del tipo “la pratica non è necessaria”. Ma la risposta che Dogen trovò la risposta fu che esiste un risveglio nella pratica e questo risveglio avviene gradualmente. In seguito questo sarebbe diventato un principio fondamentale della dottrina Soto Zen, ed è attualmente conosciuto come il principio di “unitarietà di pratica e risveglio”. Ma comunque all’epoca, sul monte Hiei nessuno era stato in grado di rispondere alla domanda di Dogen.

Foglie Autunnali al tempio Ken-nin Ji
All’età di 18 anni Dogen lasciò il Monte Hiei e si recò al tempio di Ken-nin ji a Kyoto. Fondato all’inizio del XIII sec. è il più antico tempio Zen del Giappone. Era stato fondato da Eisai Zenji, il quale aveva ricevuto la trasmissione dello Zen Rinzai dalla Cina ed aveva cominciato a diffondere la tradizione Rinzai, combinandola con le pratiche della tradizione Tendai. Dogen iniziò a praticare zen in questo tempio sotto la guida di Myozen, successore di Eisai. Quando Myozen decise di recarsi in Cina per studiare lo zen Dogen scelse di accompagnarlo. A quel tempo andare in Cina non era un viaggio semplice come lo è oggi. Dal punto più occidentale del Giappone sono 700 chilometri di traversata in un mare spesso burrascoso, soprattutto durante la stagione dei tifoni. Credo che Dogen e Myozen si fossero dovuti preparare a perdere la vita in caso di naufragio. Ma alla fine riuscirono a compiere la traversata e ad arrivare in Cina. Questo è la prova della grande determinazione di Dogen: “dal momento che non posso risolvere la mia domanda in Giappone devo andare a studiare buddhismo in Cina”.
2.2: Il viaggio in Cina
Dogen e Myozen arrivarono in Cina nel 1223. La dinastia imperante era quella Song e la Scuola Rinzai era di gran lunga quella più predominante. Dogen iniziò a praticare e studiare con insegnanti Rinzai. Visitò molti monasteri, incluso quello di Tendosan (Tiāntóng Mountain), ma non riuscì a trovare un maestro che avesse una risposta soddisfacente alla sua domanda fondamentale.

Nyojo Zenji – Abate di Tendosan
Nel 1225 Dogen venne a sapere che il maestro Nyojo Zenji era diventato il nuovo abate di Tendosan (monastero appartiene al lignaggio Soto) e decise quindi di tornarci. L’incontro con Nyojo Zenji fu per Dogen un momento molto emozionante. Visitò la stanza dell’abate e Nyojo Zenji subito riconobbe le straordinarie capacità di Dogen. Dogen stesso riconobbe nel suo nuovo maestro i segni della trasmissione del Dharma. Dogen chiese a Nyojo il permesso di visitare la sua stanza di tanto in tanto per porgli le sue domande e Nyojo acconsentì. Dopo di allora Dogen trascrisse le parole di Nyojo durante ogni visita. Quella trascrizioni hanno ora il nome di Hokyoki. Dopo la morte di Dogen, uno dei suoi discepoli di nome Ejo, trovò le trascrizioni nella pila del manoscritti di Dogen. E fu una fortuna che fossero stati ritrovati, anche se, durante il periodo medioevale, questi divennero una sorta di codice segreto, accessibile solo ai monaci di alto rango. Fino alla loro pubblicazione, avvenuta soltanto nel XVIII secolo, nessuno era a conoscenza di queste trascrizioni. Se Ejo non le avesse ritrovate sarebbe stato impossibile per noi sapere il contenuto degli insegnamenti che Nyojo diede a Dogen.
Nel monastero di Tendosan Dogen venne incoraggiato a praticare Zazen, e si dice che Dogen ebbe esperienza del Shinjin Datsuraku, ovvero del corpo e dello spirito abbandonati. Testualmente, come riportato nella trascrizione dello Hokyoki, Nyojo disse:
La pratica dello Zen (zazen) consiste nell’abbandonare corpo e spirito. Questo avviene solo tramite lo Shikantaza. Offrire incenso, fare inchini , cantare, pentirsi e leggere i sutra non sono cose fondamentali.
Nyojo si dedicava completamente alla pratica dello Zazen nella cosiddetta forma della “risveglio silente” (Mokusho zen). In questa tradizione i monaci praticavano zazen in silenzio, seduti di fronte ad un muro, nello stesso modo che facciamo noi oggi. Ma all’epoca della dinastia Song questa era una corrente minoritaria e la tradizione maggiormente diffusa era quella del Kanna Zen o della “contemplazione delle parole”.
Questa forma di Zen fu stabilita dal suo fondatore Daie Soko. Partendo dalla premessa che le persone siano confuse rispetto alla realtà Daie Soko enfatizzava il raggiungimento del satori per mezzo di una esperienza esplosiva tramite la continua focalizzazione su una singola frase (koan) con tutto il proprio essere. Ma Nyojo rigettava questo tipo di approccio. Essendo egli fedele alla tradizione del risveglio silente Nyojo enfatizzava lo zazen come la cosa più importante rispetto alle altre.
Nel Luglio del 1225, durante lo zazen del mattino Dogen sperimentò lo stato di abbandono di corpo e spirito, “Shinjin datsuraku”. Durante lo zazen un Monaco, seduto vicino a Dogen, stava sonnecchiando. Nyojo entrò e lo rimproverò “praticare Zen significa abbandonare corpo e spirito! Tu invece che cosa stai facendo? Non dormire!”.
Si dice anche che Nyojo colpì il Monaco con la sua ciabatta. In quel momento Dogen capì che cosa Nyojo intendesse veramente ed effettivamente sperimentò uno stato di abbandono di corpo e spirito.
Dopo lo zazen Dogen si recò nella stanza di Nyojo, fece delle prostrazioni e gli raccontò che cosa era successo. Nyojo annuì e disse “abbandonare… abbandonare”. Quello che intendeva é che è bisogna lasciare la presa anche dall’esperienza dell’abbandonare corpo e spirito.
Dogen scrisse in seguito nel Bendowa che il suo studio e la sua pratica più importanti giunsero a compimento in quel preciso momento.
2.3: Il ritorno a Kyoto
Nel 1227 Dogen Zenji lasciò il moastero di Tendosan dopo aver ricevuto la trasmissione del Dharma dal suo maestro Nyojo Zenji. Ritornò in Giappone e si stabilì nel tempio di Ken-ni ji a Kyoto, dove cominciò ad insegnare. Rimase a Kyoto per 16 anni fino al 1243, durante i quali si dedicò principalmente alle scrittura. Il primo libro che scrisse nel 1227 è il Fukan zazengi. Nel 1231 fu la volta del Bendowa. Durante la sua permanenza a Kyoto scrisse inoltre 46 capitoli dello Shobognezo, che rappresentano circa la metà dell’opera.

La Prima pagina dello Shōbōgenzō in una edizione del 1811
Nel Bendowa Dogen insistette molto sulla necessità dello scrivere. Era dispiaciuto che l’insegnamento dello Zen e le regole di vita nei monasteri non fossero ancora state trasmesse in Giappone. Il suo intento fu realizzato più tardi con il completamento dei 95 capitoli dello Shobogenzo e la redazione delle regole monastiche del monastero di Eiheiji, chiamate Eihei shingi.
Il punto fondamentale del Bendowa, che costituisce anche una novità epocale, è il concetto di “unitarietà di pratica e risveglio”, che per altro rappresentava anche la risposta alla domanda originaria che Dogen aveva posto sul Monte Hiei.
Vorrei citare alcune frasi prese dal Bendowa:
Sebbene il dharma sia abbondantemente presente in ogni persona esso non si manifesta senza la pratica e non si raggiunge senza l’esperienza.
Quindi la conclusione di Dogen, al termine del suo training in Cina è che “se pratichiamo sperimentiamo anche il risveglio”. Dogen dice inoltre:
Pensare che la pratica e risveglio non siano la stessa cosa è una visione che si pone al di fuori della Via (e cioè è illusione). Secondo il Dharma del Buddha la pratica ed il risveglio sono la stessa cosa. Questa è la pratica del risveglio. La pratica senza riserve di un principiante è esattamente la totalità del risveglio originale.
Credo che una tale spiegazione cambi completamente l’immagine del risveglio. Che immagine dell’illuminazione vi siete fatti?
Penso che ognuno di noi sia portato a pensare che si possa ottenere il risveglio solo dopo aver completato un training moto lungo. Ma la spiegazione di Dogen circa il risveglio è diversa.
E` come la dinamo di una bicicletta. La luce non si accende a meno di non pedalare. Il pedalare è la pratica. La luce della bicicletta alimentata dalla vostra pedalata è l’illuminazione. Quando praticate spendete come la luce di una dinamo. Anche se non ci pensate e continuate semplicemente a praticare nella maniera giusta allora il risveglio è già là. Quindi, senza pensare al risveglio, noi semplicemente continuiamo a praticare. La cosa importunate per noi è quella di continuare a praticare ogni giorno, e (non) intendo solo fare zazen ma anche portare a termine le nostre attività quotidiane come lavarsi il viso, oppure prepararsi un pasto o pulire la stanza. Questo vi farà sicuramente brillare.
Questo è il concetto fondamentale di unitarietà di pratica e risveglio. Ancora oggi è il concetto più importante nella tradizione Soto Zen.
2.4: Il Tempio di Koshoji
Nel 1223 Dogen lascò il tempio di Kennin e si spostò a Uji, a sud di Kyoto. Inizialmente si sistemò in piccolo eremo dove creò il suo primo sangha. L’anno successivo, nell’inverno del 1234, Koun Ejo Zenji divenne il suo primo discepolo. Ejo Zenji aveva praticato fino ad allora in gruppo zen diverso, chiamato Dharmashu. Avendo avuto notizia che c’era un maestro Zen eccellente andò a visitare Dogen per fare con lui un combattimento sul dharma, ovvero una discusssione sui principi del Buddhismo. Avendo perso la sfida chiese a Dogen se poteva diventare suo discepolo.

Il Buddha all’ingresso del Tempio di Koshoji
Nel dicembre del 1235 Dogen cominciò a raccogliere donazioni per la costruzione di un Sodo, ovvero di un edificio per la pratica dello zazen, e di un dormitorio. La costruzione fu completata nell’ottobre del 1236. Questo rappresentò il primo Sodo formale costruito in Giappone e fu chiamato Koshoji. Il 31 dicembre di quello stesso anno Ejo Zenji fu nominato Shuso del tempio di Koshoji.
L’evento viene minuziosamente descitto nello Shobogenzo Zuimonki 4-5:
Nel secondo anno di Katei (1236A.D.), la sera dell’ultimo giorno del dodicesimo mese il Maestro Dogen nominò me (Ejo) come Shuso (capo Monaco) del tempio di Koshoji. Dopo un discorso informale Dogen mi chiese, in qualità di Susho, di prendere la frusta (Hossu) e tenere una lezione per la prima volta. Ero il primo Susho di Koshoji. Nel suo breve discorso Dogen sollevò la questione della trasmissione del Dharma del Buddha in quel lignaggio.
(..)
Ho nominato uno Shuso per la prima volta in questo monastero. Oggi gli ho chiesto di prendere la frusta (Hossu) e di tenere una lezione. Non preoccupiamoci del piccolo numero di membri di questo sangha. (e rivolto a Ejo): non preoccuparti del fatto che tu sia un principiante. A Funyo c’erano solamente sei o sette persone; a Yakusan erano meno di dieci. Nonostante ciò tutti loro praticavano la Via del Buddha e dei Patriarchi e chiamavano la loro pratica “la fioritura dei monasteri”
Sembra quindi che a quel tempo il Sangha di Dogen non fosse poi tanto numeroso. Dogen ci dice quindi che la cosa più importante è che ci siano persone che pratichino la via dei Buddha e dei patriarchi. La grandezza del Sangha non è importante come non lo è la dimensione dell’edificio dove avviene la pratica. Anche in presenza di poche persone che pratichino la via dei Buddha queste vengono paragonate da Dogen ad una fioritura di monasteri.
Per altro Ejo Zenji venne nominato Shuso ma non fece la cerimonia dello Shuso che al giorno d’oggi è chiamata Hossenshiki. Fece qualcosa di diverso.
Ora lo Susho, durante la cerimonia, si cimenta in un combattimento sul Dharma, che come abbiamo visto, è un dibattito sulla dottrina.
Ma a Ejo fu detto semplicemente di ‘prendere lo Hossu e tenere una lezione’. A quell tempo, nella sala del Dharma, non c’era, come ora, una statua di Buddha messa su una piattafroma sopraelevata. Questo perchè la sala del Dharma era in realtà più una sala dove venivano tenuti gli insegnamenti. Invece del Buddha di solito l’abate del tempio saliva sulla piattaforma con l’hossu e teneva un insegnamento ai monaci oppure rispondeva alle loro domande. Questa azione veniva detta “portare in alto l’Hossu”. Al giorno d’oggi questo avviene ancora in occasione della nomina di un nuovo abate di un monastero.
Il fatto che Ejo sia salito sulla piattaforma dopo la nomina a Susho significa che Dogen lo ha incoraggiato a salire ed a tenere un insegnamento ai monaci al suo posto, dicendogli inoltre di non preoccuparsi del fatto che fosse solo un novizio.
Parlando del Dharma dalla piattaforma Ejo fece qualcosa di completamente diverso da quello che avviene oggi nella cerimonia dell’Hossenshiki, durante la quale lo Susho non porta l’Hossu sulla piattaforma ma ha solo un bastone di bambù posato a terra.
Si dice che la cerimonia dell’Hossenshiki, così come la conosciamo oggi, sia stata elaborate tra il XVI ed il XVII sec.
Una delle ragioni per le quali lo Susho smise di salire sulla piattaforma è che la cerimonia divenne molto popolare in Giappone e non si ritenne più appropriato far salire un giovane senza esperienza sulla piattaforma riservata all’abate del monastero.
Comunque, secondo l’intenzione di Dogen Zenji, lo Susho doveva poter avere facoltà di diffondere l’insegnamento del Dharma fin dal giorno della sua nomina e fin dal momento stesso durante il quale portava in alto l’Hossu. Per questo motivo, anche al giorno d’oggi, lo Shuso ha facoltà di portare un insegnamento già dal giorno in cui avviene la cerimonia di Hossenshiki.
2.5: Fondazione di Eiheiji
Dopo molti anni passati a Koshoji iniziò un periodo difficile per Dogen a causa delle tensioni con la comunità Tendai e la crescente competizione con la scuola Rinzai.
Nel 1243 il sangha di Dogen fu trasferito nella prefettura di Fukui, molto a nord di Kyoto. I sui seguaci costruirono un monastero, dapprima chiamato Daibutsu ji ed inseguito rinominato da Dogen in Eiheiji.

Giardini e padiglioni del Tempio di Eiheiji
Si pensa che Dogen, nel momento in cui il tempio fu completato, si sia dedicato più assiduamente all’insegnamento al Sangha piuttosto che alla scrittura. Questo si evince dal numero di capitoli dello Shobogenzo che vennero completati, numero di gran lunga inferiore rispetto alla sua permanenza a Koshoji. D’altro canto, in questo stesso periodo, il numero di insegnamenti che tenne di fronte ai monaci al fine di educarli crebbe sensibilmente.
Dogen trascorse il resto della sua vita insegnando e scrivendo a Eiheiji. Nell’autunno del 1252 si ammalò e morì l’anno successivo.
Lo zen ai tempi di Dogen era pura pratica del Sangha. Da quel primo punto nodale futuri sviluppi furono portati avanti dal lignaggio di Gikai Zenji e Keizan Zenji.
Dobbiamo fare attenzione al fatto che non fu Dogen a dare la designazione Soto al suo Zen, ed anzi disse lo zen non doveva avere un nome, come se fosse una particolare setta religiosa. In altre parole quello a cui Dogen ambiva non era la creazione di un nuovo movimento religioso ma piuttosto era la Rinascita del Buddhismo.
Va inoltre considerato che Dogen non importò un insegnamento dalla Cina, ma piuttosto comprese lo Zen cinese sulla base dei sui studi del Buddhismo Tendai. Possiamo pensare che abbia imparato lo zen dal suo maestro Nyojo, ma dobbiamo precisare che la sua comprensione dello zen andò oltre rispetto a quella del suo maestro e sfociò nella creazione di una sua filosofia propria come è testimoniato dai suoi molti scritti.