Kusen – Zazenkai 12 novembre 2017

 

Kannon

di Sengyo Van Leuven

Durante lo zazen ritorniamo continuamente al contatto con il corpo, cioè siamo molto
consapevoli della totalità del corpo nella postura giusta, col respiro giusto. Quando
torniamo in contatto, significa che lasciamo la presa da ogni pensiero che è stato
sviluppato e vuol dire che non si crea piu tensione né nel corpo né nella mente. Si gira
totalmente lo sguardo verso l’interno e se si osserva intimamente – intimamente vuol dire al di là di ogni concetto, di ogni immagine – è veramente come stare in intimità con se stessi.

Praticare lo zen ha come fonte la pratica dello zazen. Dalla pratica dello zazen fuoriescono tutte le altre pratiche. Divengono la continuazione dello zazen e se ogni giorno ritorniamo alla postura seduta, lo zazen allora non sarà limitato alla postura seduta ma continuerà in ogni azione, in ogni pensiero, in ogni parola. Insomma, praticare lo zen è sviluppare una nuova visione sulla vita basata sulla pratica dello zazen.

Si rispettano le regole dello zendo, le regole del tempio, soprattutto si sviluppano le
pratiche del bodhisattva come il dono, le parole benevole, le azioni dirette verso il
benessere degli altri, il dare beneficio agli altri. La comprensione, che fa sì che tutto il
Sangha si sostenga, l’uno all’altro, che vada avanti, insieme, in armonia.
Praticare la Via dello zen è veramente cambiare punto di vista sul mondo, su se stesso,
sugli altri. È diventare intimo con i Tre Sigilli, essere intimo con i Tre Tesori e seguire
intuitivamente lo sviluppo dei precetti: precetti puri, precetti grandi. È sviluppare le
Paramitā, le perfezioni dell’esistenza.

Sia nelle regole dello zendo che nelle Paramitā, sia nell’azione del bodhisattva che nello
spirito dei precetti ritroviamo sempre al primo posto la generosità, il dono, il fuse.
Il fuse, il dono, non è soltanto dare in qualsiasi modo, qualsiasi cosa. La generosità nel
dono fa sì che andiamo nella direzione della perfezione del dono, verso la perfezione della propria vita, di aumentare la qualità del proprio benessere, la propria felicità e di
influenzare in questo modo il benessere e la felicità degli altri. Non soltanto quelli che sono vicini, cari a noi ma anche quelli sconosciuti e quelli che non portiamo così forte nel cuore, per i quali abbiamo piuttosto un senso di odio. Nel cambiamento del punto di vista portiamo la nostra generosità, la generosità della Via, la generosità del risveglio, a tutti gli esseri. Nella generosità non c’è un’intenzione nascosta, non ci sono motivi, come per esempio di voler ricevere il ritorno di favori, rispetto, benevolenza, potere… La generosità è altruista. È altruista perché abbiamo realizzato la radice sia dei precetti, delle Paramitā, delle azioni, di tutta la Via, che le radici della vita e dell’interdipendenza, cioè, entriamo nella comprensione intima dall’impossibilità che qualcosa, qualunque cosa appartenga alla nostra persona. Se non ti appartiene niente, non perdi niente. Non si accumula niente ma questo non vuol dire che non possiamo praticare le offerte.

Andando dall’offrire dei soldi all’offrire un sorriso, dall’offrire una tazza di tè e un biscotto o un tetto per proteggersi dagli elementi. Beni materiali e beni spirituali non fanno differenza. Quando i due si incontrano, materiale e spirituale, il dono è completo. Dare senza un’intenzione nascosta, soltanto per l’azione di dare, perché non possiamo fare nient’altro che essere generosi. La generosità è profondamente espressione del Dharma del Buddha, che fa il fondamento di tutta la vita sul pianeta, pure del pianeta stesso, di tutto l’Universo. Niente può esistere senza la generosità che mette l’interdipendenza in circolo, in movimento. Nessuno può esistere in modo autonomo, dipendiamo tutti dalla generosità dell’Universo e delle persone nelle quali consiste, che costituiscono la società e tutta la popolazione mondiale.
Superficialmente possiamo pensare che gestiamo in modo autonomo la nostra vita. Se
invece andiamo nella profondità di questa supposizione, attraverso lo zazen, diviene
subito chiaro che l’autonomia, l’indipendenza, non esistono. C’è sempre una forte
interdipendenza che crea la vita.

Quando si pratica la Via dello Zen e c’è una pratica dello zazen regolare, forte. Ogni
tendenza di cercare fama, successo, possessioni, reputazione, cade da sé. Si cerca molto
più profondamente la verità dell’esistenza, una verità caratterizzata, tra le altre cose,
dall’impermanenza e dall’interdipendenza.

Queste caratteristiche fanno sì che la compassione per le generazioni future accresca. La
compassione che fa che la qualità della vita adesso, l’apprezzamento dell’istante presente
è sempre più alto, molto più grande, più profondo. Si entra cercando la verità nella realtà
di quest’attimo e ci si ritrova in mezzo a tutto il processo dell’interdipendenza, della
coproduzione condizionata. Si realizza che veramente niente ci appartiene veramente,
niente possiamo nominare “il nostro”.

Tutto nella vita di una persona è da condividere. Non possiamo possedere niente per un
guadagno personale. Cercando la verità nell’esistenza, si entra in intimità con la radice
della propria sofferenza, che è nient’altro che un attaccamento egoistico, innato,
dell’essere umano. Questo alimenta continuamente il ciclo di nascita e rinascita. Questo
desiderio di possedere sempre di più, quasi incontrollabile, rende all’umanità una grande difficoltà nel condividere, nel dare, che sia materiale o immateriale. La ricerca della verità fa vedere questo meccanismo chiaramente e impercettibilmente cade, diminuisce il potere di queste tendenze e si sviluppa veramente una compassione e una responsabilità sentita, vissuta, per le generazioni future. Facciamo quindi tutto quello che in questo momento è possibile per aiutare le generazioni future, ancora di più quando si tratta di assicurare la condivisione del Dharma del Buddha.

Il Dharma del Buddha rende la vita così ricca, così libera, così completa che viene quasi
automatico il desiderio di farne approfittare non soltanto a quelli intorno a noi in questo
momento ma anche alle generazioni future. C’è una forza che cresce senza aspettare un
ringraziamento. Andiamo semplicemente a condividere la nostra forza con gli altri.
Il dare, l’atto di dare, di offrire, diviene parte del cuore, dell’identità. In quel momento lì le azioni portano naturalmente a capire e ad apprezzare il valore delle cose che abbiamo e il valore dell’azione di condividere. Ma soprattutto fornisce, mette a disposizione
l’opportunità per accrescere, per migliorare la consapevolezza, la presenza della propria
esistenza in questo mondo di interdipendenza.

È impossibile vivere la propria vita senza l’interdipendenza, anche se abbiamo
l’impressione che siamo alla guida della nostra vita, che abbiamo autonomia, non è
davvero così perché il mondo esiste soltanto grazie all’impermanenza e
all’interdipendenza. Per tutte le cose dipendiamo da altre cose e altre persone: mangiare,
vivere, vestirsi. È uguale. Ognuno può trovare una moltitudine di esempi, nei quali si
dipende da altri per vivere la propria vita.

Il rispetto per gli altri, per l’ambiente si ritrova stimolato. Diventa evidente la comprensione che la pratica del dono è positiva, è una via, un modo compassionevole per connettersi e interagire con gli altri. Al di là della durezza della propria esistenza, perché in questo momento approfittiamo pienamente del dono fatto, praticato dagli antenati, dai patriarchi, da tutti i monaci, laici che hanno tenuto vivo il Dharma attraverso la loro pratica.
Siamo quindi molto grati per il loro dono e automaticamente la pratica del dono ritrova il suo aspetto puro e continua a entrare nel cuore della nostra esistenza. Diviene così
evidente che praticare il dono non è soltanto dare qualcosa ma esprimere la generosità
che possiamo sperimentare quando siamo intimamente in contatto con l’essenza della
vita, della propria esistenza.

Il dono visto come pratica di perfezione di un bodhisattva, di un praticante della Via del
Buddha, di qualcuno che cerca il risveglio per il bene di tutti in sanscrito è “dana”, in giapponese è “fuse”. Il vero significato di fuse è “con profondo apprezzamento, profonda
stima”.
Se lo esaminiamo capiamo che dare comincia con lo spirito di generosità. Questo spirito di generosità è basato sull’ un profondo apprezzamento, una profonda stima delle cose che vogliamo dare, dell’azione del dare e del recipiente che riceve il dono. Quindi oltre che il dono materiale, come per esempio il denaro o altri beni materiali, è soprattutto condividere lo spirito di generosità. E non è la generosità con le cose per le quali non abbiamo una grande stima ma con le cose che consideriamo come preziose. Quelle cose sono date con uno spirito di grande generosità, di grande stima. Così, la generosità è come una coperta, un plaid che scalda fortemente il cuore, lo spirito di tutti. La generosità fa sì che dare un dono renda felici non soltanto quello che riceve, ovviamente, ma soprattutto il donatore.

Questo, lo stabilire nel cuore l’esistenza della generosità è un’azione altruista che circonda tutto, che la gente che cerca la Via pratica nella vita quotidiana.
Come ho detto ieri durante il workshop, la vita quotidiana è il dominio, il campo dove si
pratica e si realizza il risveglio. La vita quotidiana, la realizzazione nella vita quotidiana è completa, è perfetta ma anche la più difficile. Fare una volta una cosa è facile. Si può
camminare sull’acqua, si può andare sulla luna, ci si può tagliare un braccio. Sono cose
facili, non significano niente ma ogni giorno dare il massimo in tutte le azioni della vita
quotidiana e in ogni azione realizzare se stesso, il risveglio, questo è difficile. Continuare a mantenere l’impegno di avere una sincerità nella pratica, di mettere tutta la propria
esistenza in ogni azione con uno spirito altruista, questo è difficile ma questo è nutriente.
Questa è la fonte, la terra fertile del risveglio, di una vita felice, completa, che ispira tutta
l’umanità.

Lo zen non è fare delle cose straordinarie, perché non valgono granché, ma continuare
ogni giorno, in ogni azione ad abbandonare se stesso, di dare tutte le energie, di praticare
ogni cosa con tutto il cuore, con impegno e sincerità. Questa pratica è molto più difficile
ma molto più soddisfacente e ispira tutta l’umanità.
Buddha non ha mai comandato l’umanità a fare qualcosa ma ha sempre avvisato i suoi
discepoli di praticare il bene facendo qualcosa di positivo, pieno di significato, con pensieri benevoli, caldi. Sentimenti che sorgono da corpo/mente, cuore/mente, altruista, non egoista. Le cose che la gente fa l’una per l’altra dovrebbero essere non condizionate e originare dalla propria natura di Buddha. Quel modo di dare senza cercare una
ricompensa è l’essenza dell’ideale del bodhisattva e spinge le individue a mettere a
disposizione l’aiuto necessario per togliere ogni forma di sofferenza.

Il dare compassionevole tocca il cuore delle persone quando vedono la sofferenza degli
altri. Guardano gli altri nel volto e sono profondamente toccati dalla loro sofferenza e non si può più fare nient’altro che prendere la direzione dell’aiuto, di dare aiuto sia materiale che spirituale.
Tutto il Sangha si comporta così. Così aiutiamo, tutti insieme, tutti a continuare a praticare la Via ogni giorno. C’è un sostegno nella difficoltà di continuare, che porta allo sviluppare di un’altra perfezione, quella della perseveranza.

Il dono sta veramente alla base di una buona vita, della realizzazione di se stessi, qui ed
ora, di questa realtà, di questo momento nel quale viviamo.

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